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Stato di calamità mentale


Giorgio Ambrosoli
Ritornano gli scioperi degli agricoltori. Sembrerebbe un deja-vu se non fosse per qualche novità, ad esempio il cambio della guardia alla testa della protesta. In passato dominavano le spighe di grano nella vanga della Coldiretti, quest’anno tocca al più modesto, ma non meno evocativo, grappolo d’uva di una lista civica che ha espresso l’assessore all’agricoltura. Sono finiti tutti in un cul de sac? Probabilmente. Ma la protesta assume risvolti epocali, come di una crisi di sistema.
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Anche quest’anno gli olivicoltori protestano per il prezzo estremamente basso del loro prodotto.
Anche quest’anno occupano piazze, sfilano nei cortei, bloccano strade.
Anche quest’anno si rincorrono le analisi, le proposte di soluzione di chi crede di avere la verità in tasca. Ritornano le solite sigle astruse (DOC, DOP, IGP, OP). Si collega la protesta alla crisi economica globale, si invocano soluzioni dall’alto, o più semplicemente si chiede che qualche ministro intervenga, allarghi i cordoni della borsa, riconosca lo stato di perenne disagio del settore e compensi con qualche prestito a tasso agevolato o con qualche sussidio. Così, tanto per aiutare a superare il momentaccio e tirare avanti per un altro anno, fino al prossimo raccolto, fino alla prossima protesta, fino al prossimo riconoscimento dello stato di crisi.
Gli scioperi degli agricoltori sono l’emblema delle contraddizioni interne al sistema e sono configurabili più come episodi di ribellismo generalizzato che come forma di protesta codificata secondo regole consolidate. Si può scioperare contro un governo se non si condividono le politiche o se si ritiene che alcuni suoi provvedimenti ledano un complesso di interessi ben determinato. Si sciopera regolarmente contro i datori di lavoro per l’aumento del salario o per migliori condizioni negli stabilimenti, contro la chiusura di una fabbrica, contro una ristrutturazione lesiva dell’occupazione. Comunque e sempre gli scioperi sono indirizzati, come forma di protesta, contro qualcosa o qualcuno ben visibile, concreto, contro lo stesso soggetto che in un qualche modo è anche l’interlocutore e con il quale bisognerà poi contrattare, scendere a patti.
Nel caso delle proteste di questi giorni in Puglia, non vi è nulla di tutto questo. Si protesta perché il prezzo dei prodotti agricoli è troppo basso. La soluzione più semplice e spontanea sarebbe quella di riconoscere ai produttori un più equo compenso per le fatiche, le spese e gli investimenti. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Il prezzo delle olive non è politicamente determinato, né viene imposto a commercianti e mediatori, lo fa il mercato, e qui casca l’asino.
Il nostro è un sistema capitalistico che contempla il mercato come l’elemento regolatore dei rapporti economici, la fantomatica creatura invisibile e impalpabile che decide dei rapporti di cambio delle merci, degli operatori più virtuosi, dei vincitori e dei perdenti. In teoria, il mercato rappresenta le regole del gioco condivise che tutti dovrebbero accettare. Capita invece che questo meccanismo a volte si inceppi, o per mano di eminenti ministri (addirittura dell’economia) che ne mettono in dubbio l’eticità, o per azione di categorie che smettono di accettarne le regole e pretendono che per loro si faccia un’eccezione. In entrambi i casi ci ritroviamo di fronte ad una sorta di schizofrenia.
Il ministro dell’economia di uno Stato capitalista e liberale per costituzione che critica aspramente il mercato, rappresenta un caso limite. Per avere un senso, quel ministro dovrebbe essere consequenziale alle sue idee e proporre, se non la rivoluzione, almeno modifiche della legislazione che vadano nella direzione delle sue nuove convinzioni. Se non lo fa, diventa poco credibile, coinvolgendo l’istituzione che rappresenta.
Gli agricoltori che protestano perché i loro clienti non pagano il giusto per i loro prodotti, è un altro non senso dietro il quale si celano storie che nessuno vuole raccontare o ammissioni che nessuno vuol fare, ad iniziare dai politici che puntualmente offrono solidarietà ai manifestanti, salvo poi ritrovarsi in condizione di assoluta afasia quando devono trasformare in provvedimenti i loro pur onorabili principi.
Quello del prezzo esageratamente basso delle olive è un bubbone che scoppia puntualmente ogni anno. Le cause sembrano piuttosto arcane. Alcuni ritengono che tutto dipenda dalla concorrenza sleale di altri paesi del Mediterraneo, altri dalle adulterazioni frequentissime dell’olio di oliva.
Ma il problema è un tantino più complesso e sembra avere carattere più generale. Il sistema capitalistico, così come è congegnato, sta mostrando la corda e le discrasie sono abbastanza evidenti soprattutto in agricoltura. I prodotti tipici vengono trattati come comune merce pronta disponibile in ogni angolo della Terra ed a prezzi economici. Capita così che il pomodoro ciliegino debba essere raccolto in Sicilia e consegnato nei supermercati del Nord Italia nel più breve tempo possibile, per alimentare quella sensazione di onnipotenza tipica delle società tecnologicamente avanzate, in cui diventa lecito pretendere ogni cosa in ogni momento ed in ogni luogo. Queste operazioni hanno un costo, così come devono essere garantite le alte percentuali di ricarico corrisposte ai maghi del mercato, nonché il prezzo finale necessariamente abbordabile. E’ chiaro che in questa situazione alcuni (pochi) ci guadagnano ed altri (molti) ci rimettono naturalmente. E solitamente a perderci sono produttori e trasportatori: quelli che lavorano. Perdono perché non dispongono del potere negoziale dei mediatori ai quali si affidano per vendere il loro prodotto. Sono questi ultimi che conoscono i mercati, che detengono il controllo dei grandi centri di distribuzione, che possono fare il bello ed il cattivo tempo.
Avviene quello che accade con sempre maggiore regolarità in agricoltura, chi decide i prezzi tende a limitarli ogni anno di più. Tira la corda fin che può, incurante delle difficoltà in cui gli agricoltori verserebbero. Fanno propria la regola della massimizzazione dei profitti, non ponendosi non già il problema, ma quantomeno il quesito, se il sistema sia o meno sostenibile. Nel capitalismo valgono le leggi della giungla, sopravvive il più forte e i contadini sono l’anello debole della catena.
E’ prevedibilissimo che un sistema siffatto sia destinato al collasso. Se a questo si aggiungono le pressioni dei paesi del Terzo Mondo che accusano quelli più ricchi e sviluppati di concorrenza sleale per via dei sussidi statali o governativi concessi ai contadini, oppure la prospettiva che fra meno di un lustro l’Unione Europea taglierà definitivamente i fondi per gli aiuti all’agricoltura, la situazione, da difficile, potrebbe trasformarsi in esplosiva.
E tutto questo avviene senza che da parte dei soggetti che oggi protestano, inneggiano alla rivolta, occupano le piazze e bloccano le strade, ci sia la benché minima capacità di avere un approccio più generale al problema, di essere consapevoli che sono proprio le politiche di quelle istituzioni apparentemente così lontane da loro, a decidere incisivamente dei loro destini. In altre parole, la situazione è drammaticamente politica, ma la protesta di politico ha ben poco. Ciononostante qualche imbarazzo lo sta producendo nel Palazzo. Ad esempio, l’organizzazione che sembra aver preso la direzione delle manifestazioni è legata ad una lista civica (“Insieme per l’agricoltura”) che si è presentata alle Comunali del 2007 appoggiando l’attuale sindaco, ottenendo l’assessorato all’agricoltura e riuscendo a far eleggere un consigliere. E’ quindi considerabile una lista di destra, non per niente al corteo del 16 novembre sfilavano, con gli agricoltori, il sindaco, l’assessore all’agricoltura, il vice-sindaco ed il consigliere Mantovano.
L’attuale governo nazionale è di destra, il ministro alle politiche agricole è addirittura un leghista, al Parlamento europeo la maggioranza è del PPE (quindi di forze di centro-destra). E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad una sorta di corto circuito in cui chi protesta è anche (o è stato) sostenitore di coloro i quali rappresentano il governo della nazione, legittimamente eletto.
La lista “Insieme per l’agricoltura” costituisce un tentativo, forse unico da parte degli agricoltori, di smarcarsi dai partiti tradizionali e di mettersi in proprio, convinti magari di trarre da ciò qualche beneficio in più. L’esperimento non è granché riuscito, visto che dopo un periodo in cui i problemi degli agricoltori sono stati semplicemente silenziati, esplodono in tutta la loro drammaticità.

Pubblicato il 23.11.09 h 22:30
Modificato il 23.11.09 h 22:30

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