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Voti di scambio


Giorgio Ambrosoli
La storia curiosa di un candidato PDL al Parlamento europeo che denuncia sul suo blog, senza andare dai magistrati, il tentativo di vendita di un pacchetto consistente di voti. Sarà questo il vero voto di scambio o tutti i finanziamenti non chiari che girano intorno alle campagne elettorali?
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Su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 02 giugno 2009 (Festa della Repubblica) appare un pezzo preceduto da un lancio, un banner denuncia: “L’ombra del voto di scambio, scandalo nella Sesta provincia”. Tanto tuonò che piovve. Stai a vedere che tutte le denunce, i mugugni, i sospetti, gli alti lai, i richiami alla morale pubblica, alla fine son deflagrati in una gigantesca esplosione, creando uno scandalo senza precedenti in un nuova provincia che si diceva essa stessa virtuosa quasi per costituzione? Cosa sarà mai accaduto?
Inevitabile acquistare il giornale e leggere con avida curiosità. In realtà, tanti roboanti annunci si riferiscono ad una storia che non coinvolge un sistema di corruttele, non un’inchiesta a carico di qualcuno con tanto di prove che dimostrino inconfessabili relazioni.
Veniamo ai fatti. L’on. Giacomo Mancini viene presentato come un deputato del Parlamento italiano. In realtà, leggendo le note biografiche, scopriamo che lo è stato di sicuro, eletto nel 2001 col Centro-Sinistra (non si specifica il partito) e nel 2006 con “La Rosa nel pugno” (una formazione che appoggiò la coalizione di Prodi e che nasceva da una fusione mal riuscita tra una parte del PSI e i Radicali di Bonino e Pannella). Adesso probabilmente non lo è più, non essendoci sua menzione nella Legislatura nata nel 2008. Di sicuro si sa che tale signore è passato al PDL e che in tale veste si candida al Parlamento europeo.
Nel mese di maggio, Mancini ha la geniale idea di raccontare nel suo blog elettorale un episodio accorsogli in quel della BAT. In un giorno non ben precisato, ma sicuramente durante una delle rapidissime visite elettorali che gli euro-candidati fanno, riceve una chiamata al cellulare da uno sconosciuto molto ben informato, visto che i cellulari, anche quelli di uomini politici di media rilevanza, non sono alla mercé di chiunque; bene informato anche sui movimenti dell'onorevole.
La parte surreale non è ancora arrivata. L’on. Mancini anziché rifiutare la chiamata, si spera che non abbia cancellato il numero dal suo apparecchio, l’accetta e scopre che lo sconosciuto non è un questuante qualunque in vena di raccomandazioni, ma addirittura un uomo che gestisce un discreto pacchetto di preferenze ad una modica cifra. Ma questo il Mancini lo scoprirà dopo, in quel primo contatto gli viene semplicemente proposto un appuntamento nei pressi del casello autostradale Andria-Barletta, ovvero all’Ipercoop, cioè in un centro commerciale. E qui la situazione diventa addirittura buffa, se non paradossale. Che in un supermercato si possa vendere ogni genere di prodotti è risaputo, ma che qualcuno pensi perfino di piazzare pacchetti di voti è quantomeno esilarante. Rimane da chiedersi come mai il Mancini abbia accettato quell’appuntamento. Perchè non l'ha rifiutato, magari sospettando una bufala, un mitomane, se non, addirittura, un agguato?
Tutti sani dubbi che però non sfiorano la sveglia mente dell’on. Mancini che all’appuntamento ci va, forse di gran carriera. Il Mancini si preoccupa semplicemente di portarsi dietro il suo entourage. Chissà se nella telefonata lo sconosciuto si era raccomandato di incontrarlo da solo, come accade nelle spy-story.
Da quanto viene raccontato, la presenza delle persone dello staff non deve aver affatto intimorito gli sconosciuti (il Mancini racconta che erano in tre). Uno di loro si fa avanti, forse apre una valigetta e mostra la sua mercanzia: 2000 voti tondi tondi di preferenza – non uno di più, non uno di meno – alla modica cifra di 30000 euro, ovvero circa 15 euro a voto. Un affare, gente che si vende per un piatto di lenticchie. Solitamente i valori sono più alti, si parla spesso di una cinquantina di euro per ogni croce segnata sul quadratino giusto. L’on. Mancini inspiegabilmente rifiuta, nonostante il disturbo. Chissà cosa pensava volesse proporgli uno sconosciuto che lo chiama al cellulare per fissargli un appuntamento in prossimità di un casello autostradale. Parole di stima e ammirazione? Una pacca sulle spalle? E può un ex deputato, nonché aspirante parlamentare a Strasburgo, spostarsi in macchina in luoghi francamente insoliti per un politico, per incontrare una persona di cui non sa assolutamente nulla?
Condotte davvero strane, rese ancora più incomprensibili da quello che il Mancini combina dopo. In una circostanza come quella avrebbe dovuto, visto che un parlamentare è un uomo dello Stato, correre dai magistrati e denunciare l’accaduto, tra l’altro il Mancini è un avvocato e si sa come vanno certe cose. Invece non fa nulla di tutto questo, più curiosamente non rimane nemmeno zitto, addirittura scrive tutto quanto sul suo blog, forse convinto che non lo leggerà nessuno.
Sta di fatto che la Procura l’ha convocato il primo giugno. Dell’episodio hanno appreso addirittura per iscritto e lo hanno interrogato per circa due ore. Dell’identità dei venditori di voti nessuna traccia, Mancini non ricorda le loro facce. Lo stesso dicasi degli uomini dello staff, un’allegra combriccola di smemorati. Forse verranno aiutati curiosamente dalle telecamere. Infatti, gli stranissimi venditori di voti non hanno battuto ciglio quando il Mancini ha fatto sapere loro che non era interessato all’affare, si sono addirittura “ritirati in buon ordine” e sembrerebbe che siano stati talmente sprovveduti da essersi fatti riprendere dalle telecamere di sorveglianza. Almeno tanto sostiene l’on. Mancini.

Considerazioni

Si tratta di un racconto credibile? Difficile sostenerlo. E’ strano, ad esempio, che qualcuno ipotizzi immantinente un caso di voto di scambio, quando potrebbe trattarsi di una semplice tentata truffa o di un millantato credito. Chi sta nel settore, e l’on. Mancini lo dovrebbe sapere benissimo, conosce i meccanismi del voto di scambio, non si trattano pacchetti di preferenze come se fossero partite di coca, dandosi appuntamento in luoghi pubblici. Il voto di scambio risente di altri meccanismi. Innanzitutto i portatori di pacchetti consistenti di consenso elettorale sono persone solitamente ben conosciute, non sono misteriosi agenti che li spacciano a prezzi di realizzo. Con loro si intrattengono trattative molto lunghe, dove è importante anche la certezza che le promesse si realizzino, gli uomini politici in questo sono molto concreti, non sono farfalloni adusi a rimanere con un sacco di pive.
Solitamente gli uomini che controllano consenso da vendere al miglior offerente, non amano riunirsi in stanze segrete e riservate, spesso la loro forza elettorale amano sbandierarla, renderla nota pubblicamente, e ancor più spesso amano mostrare questa loro potenza creando liste elettorali ad hoc, dai nomi spesso suggestivi.
Inoltre, la rivelazione del Mancini esula dall’idea che, per forza di cose, ci siamo fatti di quanto sta accadendo in questi giorni. Che esista una corruzione dell’elettore è notorio, così come è tanto più risaputo il fatto che tali fenomeni affondano le loro radici nella povertà, nel bisogno che può portare una persona a rinunciare obtorto collo anche a quell’ultimo scampolo di dignità che gli rimane, rappresentato dalla possibilità di decidere in tutta libertà chi deve essere l’uomo su cui riporre fiducia. E tutto in cambio di poche cose, un biglietto da cinquanta euro, un tozzo di pane, a volte.
Esiste anche la corruzione elettorale di chi non ha alcuna coscienza del proprio ruolo nella società, di chi non ha un’idea ben precisa di vita pubblica, di chi ritiene che i politici siano in fondo tutti uguali: si dividono solo tra quelli che possono offrire di meno e quelli che possono pagare meglio una preferenza. Il tutto si rivela un mercimonio che si esaurisce completamente in quell’atto ed in quel determinato giorno.
Son queste le basi del voto di scambio e le categorie oggettivamente più influenzabili. Non si capirebbe, altrimenti, come mai gente che non frequenta sezioni di partito, che è fuori dalla politica, si ritrovi poi impegnata oltremodo in campagna elettorale. A tutto vi è, comunque, un limite considerabile fisiologico, ed un livello oltre il quale il fenomeno diventa pericolosamente patologico. E dietro ogni pagamento c’è sempre un pagatore, ma dietro il pagatore ci sono anche i finanziatori. La corruzione e la patologia del sistema si fondano su questo circolo vizioso che parte da un soggetto spesso occulto, transita attraverso un soggetto noto e termina su tanti altri soggetti semi-occulti. E la patologia diventa tanto più evidente quanto maggiori sono le cifre in gioco, quanto più elevata è la spesa elettorale che un candidato ad una carica sostiene per assicurarsela.

Esempi eclatanti

L’esempio più eclatante dei nostri giorni è quello del candidato presidente PDL della BAT, Francesco Ventola. Sindaco di Canosa e con già all’attivo una condanna in primo grado a otto mesi per abuso d’ufficio, questo signore è bersagliato da più di sue settimane da esponenti del PD che in forma di domanda gli hanno chiesto di rendere nota la provenienza dei finanziamenti per la sua campagna elettorale. Per avere un’idea della potenza di fuoco che sta esprimendo anticipo che è già da un paio di mesi che ha tappezzato tutte le dieci cittadine della nuova provincia con manifesti di tre metri per sei che ritraggono il suo volto e la scritta Ventola presidente. Ma non solo, ha perfino incaricato un’agenzia di Barletta di curargli l’immagine, ha prodotto uno spot diffuso a pagamento su siti internet e televisioni private per annunciare il suo verbo. Recentemente uno dei testimonial del suo filmato è stato arrestato per ricettazione di materiale rubato. Affitta normalmente teatri, sale ricevimenti, sale convegni per happening elettorali, paga service per mega palchi da dove parlerà. Tutte iniziative che nessuno può assolutamente permettersi, almeno in quella misura. Recentemente ha perfino prodotto e spedito a migliaia di famiglie un DVD agiografico in cui appare intervistato dalla sua addetta stampa, normalmente pagata con uno stipendio del Comune di Canosa di Puglia. Quanto stia spendendo non è noto, ma qualcuno stima che ormai abbia raggiunto, e forse superato, la cifra stratosferica di un milione di euro: un’enormità per un presidente di una provincia composta da dieci sole cittadine.
Naturale che la cosa suscitasse il sospetto di persone normalmente molto tranquille e per niente solite ai toni accesissimi della politica, meno naturale che uno di loro, De Feudis dell’Italia dei Valori, non abbia sentito il bisogno di calcare la mano su questo fenomeno.
Ha iniziato per primo l’on. Boccia, che in un articolo apparso il 12 maggio su “La Gazzetta del Mezzogiorno” ha scritto: “E’ disposto il candidato del PDL, Ventola, a dichiarare con la massima trasparenza durante l’intera campagna elettorale, sul suo sito e sui giornali, i costi, i contributi e i nomi dei finanziatori della stessa campagna elettorale?”.
Giunge la risposta di Ventola a stretto giro di posta dal suo sito, che replica: “Per i costi della campagna elettorale, infine, l’onorevole Boccia non abbia dubbi: è la legge il nostro riferimento, unitamente al buon senso ed all’impegno che mettiamo. In questo senso, la capacità di stare tra la gente, girando quartieri, piazze, strade e condomini, sicuramente ci costerà qualche paio di scarpe in più”.
Retorica del paio di scarpe a parte, Ventola si guarda bene dal rispondere, il riferimento alla legge è vago, il girare la città potrebbe essere un buon viatico per il sindaco di strapaese, ma quando le città sono tante, bisogna fare tutto di corsa, e di tempo per salire sui condomini ve n’è decisamente poco.
Ma sono i comizi di Santangelo del Partito dei Pensionati e quello di Salerno, candidato presidente centrista, ad alzare decisamente i toni e a rendere più inquietanti i sospetti. Santangelo tiene un comizio da invettiva feroce. Accusa Ventola di essersi pagato la claque degli sbandieratori con compensi di cinquanta euro a testa. Invoca la matematica e fa quattro conti per dimostrare che quanto sta spendendo ora non verrebbe assolutamente recuperato con gli stipendi da presidente. Scandaglia le pieghe del suo programma e scopre che tra il detto e il non detto vi sarebbe anche un inceneritore. Adombra il sospetto, ma per Santangelo è quasi una certezza, che la campagna elettorale di Ventola sia finanziata da imprese occulte, ma non delinea il campo preciso di interesse, fa solo riferimento ad un mondo degli appalti che trarrebbe grandi benefici da un Ventola presidente.
Dello stesso tono quanto sostiene Salerno, con l’aggiunta di un calcolo forse un po’ stiracchiato: i DVD sarebbero costati 300000 euro. Naturale la domanda: da dove arrivano tutti quei soldi? Salerno aggiunge particolari nemmeno tanto inediti su materiale elettorale con annessi buoni pasto.
Spontanea la domanda. Se eminenti personaggi politici nemmeno tanto agitati, adombrano sospetti di tale portata e lo fanno in sì pubblica piazza, è logico pensare che nessuno li abbia ascoltati e che non sia andato a riferire tutto al Magistrato? E se Ventola viene infangato in tale guisa, come mai non corre a tutelare il suo onore denunciando i presunti calunniatori? Per la verità, Ventola sostiene di aver già querelato Salerno e forse Santangelo, per ora se ne sono visti solo gli annunci, di notizie di deposito nemmeno l’ombra, e comunque gli annunci non devono aver sortito grandi effetti, visto che Salerno e Santangelo continuano imperterriti nella loro opera.
Sarà forse che la querela d’avanti ai giudici non conviene sporgerla per evitare che qualcuno di loro possa ficcare davvero il naso in situazioni che è meglio tenere sospese? A Ventola basterebbe vincere le elezioni, dopo si sa: la calunnia è un venticello.
Ma Ventola rimane una sorta di sorvegliato speciale anche e soprattutto per il Partito democratico che ancora il 2 giugno non gliele manda a dire, ma minaccia di passare dalla parole ai fatti. E’ sempre l’on. Boccia a farsi portatore dei rilievi contabili in merito alla sua campagna elettorale. In una intervista dice: “Gli avevamo chiesto un patto per gli elettori che passava da una dichiarazione di trasparenza. Cioè quella di rendere pubbliche le risorse messe a disposizione per la campagna elettorale. Ma da Ventola non abbiamo avuto risposte. Anzi è sotto gli occhi di tutti i cittadini la diffusione e spedizione di brochure, depliant e soprattutto un DVD(…) Pertanto, in qualità di parlamentare della Repubblica chiedo alla Guardia di Finanza di accertare la provenienza delle risorse per finanziare queste iniziative”.
Questa volta Ventola risponde senza invocare la legge (d’avanti alla Guardia di Finanza non conviene), né sostenendo che i fondi li ha messi insieme consumando le scarpe per vie, piazze e condomini: “Quanta attenzione nei miei confronti: a seconda delle opportunità di turno, i conferenzieri si scambiano i ruoli credendo di poter fare il gioco delle tre carte, ripetendo la solita solfa senza costrutto”.
E’ evidente il fastidio, sempre la stessa domanda. E’ evidente che psicologicamente soffre di una sindrome da accerchiamento, sa di essere solo contro un nemico numeroso intermini di soggetti, ma meno consistente in forza elettorale. Ventola considera nemici i propri avversari, uomini che godrebbero nel vederlo decaduto o, peggio ancora, in gattabuia. Si crede al centro di un complotto in cui tutti tramano contro di lui e tentano di metterlo in mezzo con il gioco delle tre carte.
Non siamo di fronte ad una normale battaglia politica, di idee. No, Ventola è convinto di impersonare il bene e che chiunque si frapponga tra lui ed il suo obiettivo è ispirato dal maligno. Allo stesso tempo induce sentimenti simili nei suoi avversari, che lo vedono come un pericolo, la morte della politica, il cedimento ultimo e definitivo ad interessi metapolitici, soprattutto economici, di soggetti occulti, ma di cui è facilmente intuibile il campo di attività e cosa vogliono. E’ sintomatico che l’on. Boccia associ e chieda a Ventola un pronunciamento formale sulla discarica di Contrada Tufarelle, perché è lì che si gioca tutta la partita della Provincia. E’ lì che si concentrano i maggiori interessi e, guarda caso, proprio in un ambito di stretta competenza provinciale. Ultimamente Ventola, per esprimere un parere negativo sulla discarica, si è guardato bene dal farlo autonomamente, ha preferito che fosse il Consiglio comunale riunito a pronunciarsi.
E, a quanto pare, a Boccia non deve essere bastato, visto che non considera ancora chiusa quella partita.

Pubblicato il 02.06.09 h 18:03
Modificato il 15.07.09 h 23:24

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