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Il regime perfetto


Giorgio Ambrosoli
Si può definire regime quello di Berlusconi o siamo alla barzelletta finale di un caudillo che non perde tempo per attaccare ogni voce di dissenso possibile? Autoritarismo democratico o regime di stampo sudamericano? Quanto conta nel programma politico del premier il Piano di Rinascita democratica della P2?
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L’Italia formalmente non è ancora un regime, ma i regimi iniziano solitamente così, con il rovesciamento delle garanzie democratiche, con le campagne d’odio o di paura contro ben precise classi o categorie di persone, indebolendo, o screditando, le voci di dissenso resistenti, obliterandole di fatto. E’ possibile che questo avvenga in un contesto dove vige ancora un sistema costituzionale e con diritti pienamente garantiti come quello dell’articolo 21 della Carta?
Di fatto è possibile. In questo il Berlusca si affida sostanzialmente a due metodi, entrambi consentiti, ritenuti legittimi, se non addirittura codificati da un suo precedente governo. Nessuno può impedirgli di essere un imprenditore, nessuno può negargli di spaziare dalla televisione all’editoria, alle assicurazioni, alle banche. Esistono limiti, ma non possono essere previsti nella Costituzione, se non in quel campo di leggi non scritte, di consuetudini, di comportamenti che si ispirano ai principi fondamentali dello stato di diritto, ma che legittimano anche i sistemi economici di tipo capitalistico. Berlusca e i suoi sguazzano proprio nel campo di quei fondamenti, violandoli quando non addirittura ribaltandoli, comunque facendo di questa azione il grimaldello per attaccare l’intero sistema democratico.

Prendiamo ad esempio le manifestazioni del capitalismo in campo economico. Che non sia un sistema perfetto lo sanno anche e soprattutto i suoi più strenui difensori. Che per essere accettabile debba fondarsi su regole chiare, certe e condivise, è altrettanto noto. Che debba essere guidato da un sistema etico, è scontato e che per poter funzionare debba fare proprie le critiche mosse dai pensatori comunisti, appare palese un po’ ovunque, tranne che nell’Italia del Berlusca. L’America fu tra le prime ad assimilare la regola aurea, a comprendere cha la minaccia maggiore fosse proprio quella del monopolio che, esaurita la fase ascendente della parabola, sarebbe finito per rappresentare la maggior causa di crisi. In verità non sarebbe la sola, ma limitiamoci a considerare solo questo aspetto. Nell’Italia berlusconizzata avviene invece l’esatto contrario, che un monopolista dell’informazione diventi addirittura capo del governo e che controlli completamente il consenso tramite le televisioni riconducibili alla sua proprietà, e quelle che non di diritto, ma di fatto, rientrano nell’orbita governativa, ovvero la televisione di Stato. Il contesto in cui tutto ciò si avviluppa non è un sistema illegale o non previsto dalle leggi, ma perfettamente in linea con la legislazione ordinaria, santificato da firme e pareri illustri.
La composizione del Consiglio di Amministrazione della RAI è determinato per legge (la famigerata Gasparri), i membri vengono decisi dal Parlamento. E’ tutto in regola sotto questo punto di vista, ma se i parlamentari rinunciano alla loro dignità per trasformarsi in lacchè, permettendo che nell’Esecutivo si concentri anche il potere legislativo, e che l’uomo riesca perfino a controllare le coscienze grazie alla manipolazione dei sistemi di comunicazione di massa, è un qualcosa che affonda in quella che molti amano chiamare la costituzione materiale, ovvero comportamenti individuali che possono far strame degli alti principi costituzionali.
E’ questa la crisi che attraversa l’Italia, la dicotomia che si è creata tra quanto sancito dalle leggi e quanto in realtà i cittadini pretendono dai loro governanti in materia di rispetto della legalità. Il caso del Cavaliere è emblematico di tutto lo scibile di rapporti che l’uomo di governo (formalmente) intrattiene con quello d’affari (sostanzialmente).
Fin quando tutto si esaurisce in un mero conflitto d’interessi è il sistema liberale a subire una grave crisi di credibilità, ma quello che sta accadendo in questi giorni ha di fatto superato quei confini, tanto da configurare un autentico scontro tra poteri pubblici e parti di società civile, al punto da far temere il tentativo di limitare la libertà di parola e di espressione. Il ricorrere al potere giudiziario per imporre la mordacchia alle poche voci di dissenso non è un tentativo formalmente eversivo, il reato di diffamazione a mezzo stampa è contemplato dal Codice, chiunque può denunciare chicchessia se si ritenesse diffamato. Spaventa il modo e l’uso che se ne fa e la sproporzione tra le forze in campo: uno degli uomini più ricchi del Paese (sicuramente il più potente) rafforzato nella sua invulnerabilità da una legge ad hoc che lo rende improcessabile anche per reati comuni, che si scaglia contro due giornali, di cui uno piccolo che potrebbe chiudere i battenti se dovesse perdere la causa.
Il regime sarebbe perfetto se la Magistratura fosse al suo servizio e gli desse ragione. Al momento non risulta che Berlusconi abbia vinto qualche causa da lui promossa contro qualcuno, quella contro Pietro Ricca (l’uomo che gli diede del buffone) la perse miseramente e anche in un altro caso si è ritrovato con l’aver avuto torto e condannato a pagare le spese legali.
Sorge naturale chiedersi, a questo punto, se quello che Berlusconi sta cercando di imporre sia un regime compiuto, al capolinea o semplicemente allo stato embrionale.

Per capirci qualcosa, bisogna tornare indietro nella storia, ad un numero: il 1816, ovvero quello della sua tessera di iscrizione alla P2 da sempre derubricata a semplice favore fatto ad un amico, Roberto Gervasio. Al Cavaliere piace sempre passare per persona meno intelligente di quanto in realtà sia. E per capirci ancora meglio, occorrerebbe sfogliare il Programma di Rinascita democratica del suo ex (?) venerabile maestro: Licio Gelli. In breve, il Venerabile auspicava una rapida sterzata a destra dell’Italia da realizzarsi con una serie combinata di azioni: spaccare il fronte sindacale estromettendo la CGIL; acquisire il controllo di “Il Corriere della Sera” da un po’ virato pericolosamente a sinistra con la direzione di Piero Ottone; separare le carriere dei magistrati sottoponendo il Pubblico Ministero al controllo governativo; creare una rete alternativa di televisioni locali controllate da amici o da amici degli amici, in maniera che cadesse il monopolio televisivo della RAI. E’ interessante osservare come l’opzione del golpe classico fosse ritenuta poco praticabile in Italia, al contrario di quanto la P2 aveva realizzato in Argentina con il regime di Videla in cui non si era preoccupata affatto di andare tanto per il sottile.

Osserviamo quanto invece il suo ex-apprendista ha di fatto realizzato. Il fronte sindacale non gode ottima salute. L’unità è ormai una chimera, anche se di fatto non si è consumata quella rottura che il Nostro si auspicava e per la quale continua ancora a lavorare. La riforma del modello contrattuale, siglata con la netta contrarietà della CGIL, rappresenta un’incrinatura, ma la forte crisi economica, la sfiducia di molti lavoratori nel sindacato in generale, alcuni episodi di sindacalismo fai da te che si sono rivelati anche più efficaci di quello tradizionale, hanno sparigliato un tantino le carte, costringendo la presidenza della Confindustria a riprendere i rapporti con la CGIL, pena il rischio di un’anarchia sindacale che potrebbe rendere molto più difficili i rapporti all’interno delle fabbriche e meno tranquilla la vita degli imprenditori.

Conquistare “Il Corriere della Sera” sembra un’impresa titanica perfino ad un tycoon come il Berlusca, i soci sono legati da un patto di sindacato che ha retto a numerosi attacchi, ciononostante un amico fidatissimo del Cavaliere è riuscito ad entrare nel Consiglio di Amministrazione, è Salvatore Ligresti, ed in passato si è consumato uno strano tentativo di scalare la Rizzoli da parte di un bizzarro personaggio, tale Ricucci che da odontotecnico diventò immobiliarista. Per il resto il Corrierone non sembra mostrare un volto particolarmente cattivo o prevenuto nei suoi confronti e solitamente le sue proteste sono sempre molto ascoltate dalle parti di Via Solforino, dove a comando si cambiano i direttori più scomodi e dove il Nostro può fidare su una pattuglia di editorialisti ben disposti.

Le procedure di normalizzazione della Magistratura sono avviate già da qualche anno e già il Guardasigilli Castelli ne modificò abbastanza l’assetto. Rese più difficile il passaggio dall’inquirente alla giudicante, introdusse un test pisco-attitudinale per i futuri giudici, una scuola di Magistratura e la progressione di carriera non per anzianità (come è sempre stato) bensì per concorsi interni. Ma la grande ambizione è per ora un sogno irrealizzato: quello di abolire l’obbligatorietà dell’azione penale per sostituirla con indirizzi generali di indagine passati direttamente dal Ministero, in pratica sarebbe il Governo (quindi la politica) a decidere quali reati perseguire. Ma l’attacco non si ferma qui. Già esiste una bozza di riforma della Giustizia ad opera dell’ineffabile Ministro Alfano, definita devastante dagli organi associativi dei magistrati, che sottrae al Pubblico Ministero l’azione investigativa - così come anche il coordinamento delle forze di polizia durante le indagini - per consegnarla ai commissari, già gerarchicamente sottoposti al Ministero dell’Interno.

Quello delle televisioni e dei mass-media in generale è la parte del programma della P2 che gli è riuscita meglio, in cui l’apprendista ha decisamente superato il maestro. Se Gelli vaticinava una rete di televisioni locali di contrasto alla RAI, Berlusconi ha fatto molto, molto di più. Ne ha create tante quante ne possiede l’ex monopolista pubblico; ha inibito qualsivoglia altra iniziativa in tal senso, facendo resistere Rete 4 su frequenze che di diritto erano di Europa 7, grazie alla promulgazione di una legge ad hoc scritta dai suoi consulenti; ha di fatto omologato l’offerta culturale ed editoriale del soggetto televisivo pubblico rendendolo un clone di Mediaset; ha riempito la RAI di dirigenti a lui fedeli, non risparmiandosi di piazzare in posti chiave addirittura suoi già diretti dipendenti.
C’è comunque da fare attenzione. Il Programma di Rinascita democratica è un vecchio documento scritto trent’anni fa sotto la scorta di quella che era l’Italia di allora. Quella di oggi forse è anche più vulnerabile in certi punti e non è detto che il Venerabile Maestro (dall’alto della sua indiscutibile esperienza) non abbia suggerito qualche buona variazione sul tema. Per certi versi il programma politico non dichiarato, ma esercitato, berlusconiano sembra addirsi più ad una repubblica di tipo sudamericano che ad un tentativo di autoritarismo democratico che ogni tanto prende qualche presidente: populismo, leaderismo, campagne scioccanti contro la libera informazione, seguite dal tentativo di sopire ogni forma di dissenso civile. La strategia di occupazione del potere ricorda più quella di un moderno caudillo rispetto alla quale il documento scritto da Gelli sembra un affare da moderati. Se a questo aggiungiamo la combinazione di alleanze con la compagine leghista, ciò che ne risulta è un mix dai risultati imprevedibili che per certi versi ricorda perfino quello che si costituì durante il Ventennio.
In realtà, e questo deve averlo preso bene in considerazione il Berlusca, un sistema dittatoriale non può prescindere dalla paura, ma anche dalla violenza fisica. Il controllo affidato solo alla manipolazione dei mass media lascia intendere un regime leggero, un incantesimo, per quanto le coscienze possano essere corrotte, sospese, inebetite. Un vero regime abbisogna di qualcosa di più. Di qualcuno che trasformi in forza materiale quelli che sono gli impulsi ideologici, una classe di nuovi pretoriani e di nuove squadracce nere o verdi non importa, che facciano il lavoro sporco di rompere la testa ai tanti che non si adeguano. L’olio di ricino mediatico rassomiglia alle sensazioni che si avvertono nella realtà virtuale, occorrerà che qualcuno si prenda cura di diffondere la paura ovunque.
E’ pronta l’Italia ad una simile evenienza? Per quanto ancora sarà disposta a scendere lungo il piano inclinato dell’indifferenza? Quelli che il Berlusca sta effettuando in questi giorni sono test pericolosi.

Pubblicato il 10.09.09 h 23:42

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