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Giorgio Ambrosoli

Angelo Vassallo

La clava di Nichi

Fantapolitica vers. 3 Passa quasi inosservato il piano di riordino ospedaliero. Una questione che aveva creato non poche impopolarità a Fitto. Nichi è costretto a capitolare sotto le minacce di Tremonti, e a compiere una virata di necessità verso destra.
Fantapolitica vers. 3
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Fantapolitica vers. 3 A che punto è la narrazione di Nichi? Certo, si può anche affermare che la politica è narrazione, ma a volte bisogna fare molta attenzione a non confondere fantasia con realtà, così come non si può non tenere in conto che anche le più ardite affabulazioni spesso devono fare i conti con la fredda logica dei numeri.
Il caso del regolamento urgente sul riordino ospedaliero prodotto dalla Regione Puglia e firmato unicamente con un Vendola (senza riportare il ben più noto Nichi che lo ha reso il più simpatico e il più onirico dei governatori italiani) rende bene l’idea di quanto l’aritmetica sia in grado di spezzare i sogni e di riportarci con i piedi per terra in quel mondo dove uno più uno fa inesorabilmente due.
Cinque articoli ed un allegato interminabile di svariate decine di pagine, per sancire che il modello di sanità pubblica firmato Vendola ha subito una grave battuta di arresto e, volente o nolente, deve sottostare ai diktat della stabilità finanziaria e di Tremonti. Quindi, si chiudano gli ospedali, almeno quelli con minori posti letto e nei centri più piccoli, si sopprimano i reparti più infruttuosi, si riveda la spesa sanitaria. Quello della sanità pugliese non è stato mai un capitolo molto allegro, dai tormenti di Fitto (l’ex-governatore di destra che per primo tentò l’operazione ridimensionamento della spesa) agli anni dell’assessore Tedesco, attaccato spesso e volentieri per un presunto conflitto di interessi che l’ex-assessore, ora deputato, declinava, asserendo che quelle aziende chiacchierate legate alla sanità pugliese, non erano sue ma dei suoi figli; passando per le scorrerie di alcuni uomini d’affari alla Tarantini, che con la sanità pubblica stabilivano floridi rapporti vendendo protesi di ogni genere. Le stesse che finivano trapiantate in soggetti che in realtà non ne avevano alcun bisogno. Tutto per garantire commesse, e scandali che finivano per coinvolgere alti e potentissimi dirigenti, sempre lì, in quei posti di comando, qualunque fossero i colori politici delle maggioranze che si alternavano. Il culmine del sistema – o meglio il conto da pagare – arriva oggi, proprio nel momento di maggiore ispirazione a velleità nazionali del Poeta, quando ormai i recinti sono stati aperti, i buoi son fuggiti e ci sono rimaste poche corna da cui ricominciare. Piano di riordino sanitario, ovvero paradosso allo stato puro, in cui liberamente si può affermare, tra le finalità, che “Il riordino della rete ospedaliera della Regione Puglia di cui al presente Regolamento (omissis) è finalizzato al miglioramento della qualità ed appropriatezza dell’offerta ospedaliera ed al contenimento della relativa spesa.”
Ottima la seconda, un po’ meno la prima. Non è chiaro, infatti, come possa migliorare la qualità se si riduce il numero di centri di cura e se la spesa dovrà globalmente diminuire. La verità è che con i sogni non si governa e di euro in cassa ve ne sono pochi. Il fare di necessità virtù è un esercizio che non sempre produce gli effetti sperati, così come, dopo, viene piuttosto utopistico sostenere che al problema degli ospedali chiusi si possa agevolmente ovviare con assistenza domiciliare, assistenza specialistica ambulatoriale, assistenza residenziale o semiresidenziale, quando il provvedimento di chiusura degli ospedali ha effetto immediato ed il tutto dovrà per forza concludersi entro la notte di San Silvestro del 2010. Di fatto, un bel po’ di persone si troveranno senza ausili a quella data e di tempo ve ne sarà rimasto pochino dalla pubblicazione in BURP del regolamento, per organizzare tutti quei servizi sostitutivi. Ma la questione è urgente e sappiamo perché: da Roma non arriveranno quei milioni di euro promessi se Vendola Nichi non avrà, obtorto collo, adempiuto ai doveri che Tremonti impone: tagliare.
In questo bailamme non potevano non mancare le critiche feroci provenienti da destra. Tanto per citarne qualcuna, a Canosa il PDL ha diffuso un comunicato stampa del suo coordinamento cittadino per attaccare pesantemente la chiusura dell’Unità coronarica e del reparto di lunga degenza. Stranamente, proprio i paladini del liberismo, della riduzione sconsiderata delle tasse, dello Stato leggero e della privatizzazione selvaggia, si riscoprono più statalisti e dirigisti che mai pretendendo perfino che l’assistenza agli anziani debba rimanere tra i compiti del pubblico, quando invece dovrebbero plaudire alle iniziative del loro ministro. Una sorta di sindrome NIMBY che evita di riportare il problema al suo reale dato complessivo.
Diamo uno sguardo nello specifico consultando un elaborato che fedelmente riporta, territorio per territorio, lo stato degli ospedali interessati dal piano di riordino. A voler iniziare dalla BAT, si scopre, ad esempio, che ben due ospedali vengono chiusi (Minervino e Spinazzola), che spariscono due Unità coronariche (Canosa e Bisceglie), un reparto pediatrico (Trani) e uno di lungo degenza a Canosa. Ma i colpi di clava non si fermano qui, tendenzialmente tutti gli ospedali di base perdono posti letto, tranne qualche interessante eccezione come Terlizzi (paese natale del governatore pugliese) che si ritrova con 4 posti in più nonostante perda il reparto di Ginecologia, quello di Pediatria, di Riabilitazione pneumo e la lungo degenza, guadagnando Pneumologia. Ostuni cresce di 9 posti letto a fronte della chiusura dei reparti di maternità e pediatria, e dell’acquisizione di pneumologia (in trasferimento da Fasano) e lungo degenza, e S. Pietro Vernotico, che passa da 92 a 132 posti, chiudendo chirurgia e acquisendo ortopedia da Mesagne. Nel Leccese sono due gli ospedali di base che aumentano la loro disponibilità di posti letto: Galatina che cresce di 33 unità senza perdere alcun reparto e istituendo due nuovi (geriatria e pneumologia); Scorrano che passa da 147 a 206 con l’innesto di gastroenterologia e lungo degenza.
Su 13 ospedali intermedi solo 3 aumentano la loro disponibilità di posti letto: Monopoli di 23 con 2 nuovi reparti (riabilitazione cardio e lungo degenza); Putignao di 22 con i nuovi reparti di pneumologia e neonatologia; San Severo che cresce di 17, ma dopo essere diventato di riferimento per una parte del Gargano, in seguito alla chiusura di S. Marco in Lamis (96 posti cancellati) e Torremaggiore.
La mannaia non risparmia gli ospedali di riferimento provinciale: il Perrino di Brindisi perde 150 posti e il Moscati di Taranto se ne ritrova con 25 in meno. Cresce solo a Lecce il Vito Fazzi di 34 posti.
Tra quelli regionali la situazione è quasi di equilibrio. Perde il Policlinico di Bari 52 posti, gli Ospedali Riuniti di Foggia si salassano per 85. Recuperano quelli più piccoli: il Giovanni Paolo II ne acquisisce 26, il De Bellis di Castellana passa da 105 a 122 e l’ospedale pediatrico Giovanni XXIII rimane quasi inalterato nel numero complessivo di posti letto (+6), perdendo 3 reparti (pneumologia, nefrologia pediatrica e urologia pediatrica) e acquisendone uno di cardiochirurgia.
Tutt’altra musica per gli enti ecclesiastici, che si configurano come i veri centri di eccellenza anche sotto il punto di vista dell’accreditamento presso la Regione Puglia. L’unico ridimensionato per numero di posti letto è la “Casa Sollievo della Sofferenza” di S. Giovanni Rotondo. Scende sotto la soglia psicologica dei 1000 (in Puglia solo il Policlinico la supera) riqualificandosi a 907 posti letto predeterminati. In compenso non chiude alcun reparto e ne apre 7 di nuovi, un autentico record: 4 di chirurgia (cardiaca, maxillo-facciale, pediatrica e toracica), terapia intensiva postoperatoria, rianimazione pediatrica e neuro riabilitazione.
Per quanto concerne gli altri, invece, si osservano diffusamente incrementi di posti letto: +23 al Miulli di Acquaviva delle Fonti; +4 al Maugeri di Cassano; +5 al Medea nella ASL di Brindisi; +11 al Cardinale Panico di Tricase.

Si può parlare di un piano caratterizzabile come di sinistra? Premesso che il risparmio nella spesa pubblica non è mai stato un valore per la sinistra, di certo il piano firmato da Nichi crea più problemi di quanti in realtà ne risolva. Gli ospedali soppressi sono per lo più collocati in centri piccoli, abitati in gran misura da anziani. In quasi ognuno di questi ospedali vi è un reperto di lungo degenza o di geriatria, oppure di medicina generale. La mannaia della sanità regionale si abbatte, dunque, proprio sulla parte della popolazione più debole e più bisognevole di cure. E’ chiaro che in un contesto così delineato, potrebbe crescere il ruolo di supplenza dei privati, ad un compito assolto finora, in qualche modo, dal pubblico con la rete ospedaliera, privatizzando di fatto l’assistenza ai malati terminali o agli anziani non autosufficienti. Naturalmente ciò che il Servizio Sanitario risparmia, ricade automaticamente tra le incombenze dei privati cittadini, che potranno far fronte al piano di Nichi con costosi ricoveri in strutture private ad hoc (quelli che potranno permetterselo), o con quel po’ che verrà passato dall’assistenza domiciliare, lasciando aperto l’interrogativo su come supplire a ciò che l’assistenza a casa non potrà offrire. Si mostra forte con i deboli, Vendola, ma non riesce a fare altrettanto con gli ospedali retti da enti ecclesiastici, come non è chiaro se gli accreditamenti delle cliniche private siano cresciuti o meno, mancando, nel documento, il riferimento agli anni precedenti. Insomma, piano di riordino o progressivo passo verso la privatizzazione della sanità? Dilemma antico per il Governatore, che alla realpolitik preferisce la narrazione, ma è costretto a cedere alla ragione dei numeri quando qualcuno gli ricorda che esiste anche la matematica con le sue ferree regole. E a quelle non si sfugge.

Pubblicato il 26.12.10 h 22:43
Modificato il 28.12.10 h 20:53

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