Il D.L. 35 del 8 aprile 2013 dispone che gli enti locali trasmettano la loro situazione debitoria nei confronti delle imprese al governo centrale. Qualcuno lo fa e le cifre, rese note, spaventano la popolazione. Qualcun altro preferisce non chiedere nulla allo Stato, ma dichiara somme non proprio congruenti con quelle dei rendiconti. Il mistero buffo dei debiti della Pubblica Amministrazione.
A quanto ammontano i debiti della Pubblica Amministrazione? Secondo stime alquanto mutevoli in relazione al giorno e a chi le fa, le PA sono inadempienti verso i loro fornitori per complessivamente 60, 70 miliardi di euro, l’equivalente di un paio di manovre finanziarie di portata medio alta. Un’anomalia molto italiana che rischia di rassomigliare ad un metodo piuttosto furbetto per scaricare ancora sui cittadini quella parte di debito pubblico che non rientra tra le statistiche ufficiali. Se a queste – per onestà – si volesse aggiungere ciò che la Pubblica Amministrazione non paga ai suoi fornitori, con tutta probabilità il debito pubblico italiano sarebbe già oltre i livelli di guardia. Quando si parla di debiti della Pubblica Amministrazione, si fa riferimento ad un universo piuttosto esteso, dove in mezzo vi sono Comuni, Province, ASL, Ministeri, Regioni, aziende municipalizzate o partecipate. Tutto ciò che in un modo o nell’altro grava sui bilanci della collettività. Un debito molto ben distribuito che spesso si nasconde o si occulta sotto voci misteriose. Questo blog si occupa spesso di problemi legati ai bilanci degli enti pubblici, e anche questa volta prendiamo in considerazione due casi esemplari per la loro diversità: quello di Andria e quello di Canosa.
Ripianare il debito è una voce ricorrente già da qualche governo a questa parte. Per alcuni commentatori politici si trattava di un modo per rilanciare un’economia boccheggiante già qualche anno fa. Ma chi ha tradotto in legge quest’ottima intenzione, è stato il Governo Letta con il decreto n. 35 del 8 aprile 2013, poi trasformato in legge il 6 giugno. Considerato che il decreto prevedeva il saldo di parte dei debiti della Pubblica Amministrazione, si è resa necessaria una ricognizione da parte degli enti locali, al fine di avere un dato preciso sul quantum. Ed è qui che sono emerse alcune sorprese e situazioni al limite del paradosso, per le quali è necessario fare qualche precisazione tecnica se si vogliono comprendere meglio i meccanismi che regolano la contabilità. Come già ribadito in altri post su questo blog, i Comuni riportano solo nel rendiconto finale quelli che a tutti gli effetti sono debiti. Si trovano nella voce residui passivi. Definiti così assumono un tono piuttosto vago e non particolarmente allarmante. Si tratta, in realtà, di somme che sono state impegnate durante l’esercizio, ma alle quali non è seguito un pagamento, a fronte – si presume - di una prestazione reale. Potrebbero permanere in questo stato ad libitum, anche se dopo un anno dovrebbero essere, per le regole di contabilità generale dello Stato, considerati perenti. Essi possono afferire alla parte di bilancio che cura gli investimenti (conto capitale) o a quello delle spese ordinarie (conto corrente). Ma ciò che li rende particolarmente graditi a politicanti vari e a tecnici che tengono al loro premio di fine anno, è che in combinazione con i residui attivi (le somme accertate ma non riscosse) si prestano particolarmente bene ad aggiustare i bilanci, senza suscitare particolari allarmi o malumori nel popolo ignaro, perché se il termine debiti evoca pensieri foschi, residuo passivo (forse per il concetto di residualità che è consustanziale alla parola) fa molto meno effetto. Ma se poi si scopre, come è accaduto ad Andria, che quel termine significa debito, tutto cambia. E’ accaduto questa estate, quando per ottemperare all’art. 6 comma 9 del Decreto Legge n. 35 del 08 aprile 2013, il Comune di Andria ha compilato la sua lista e l’ha pure pubblicata sul sito ufficiale nella sezione Trasparenza. Si è scatenata una bagarre prevedibile, ma al tempo stesso incomprensibile per gli addetti ai lavori. Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei bilanci comunali, sa che le Pubbliche Amministrazioni sono inguaiate, e quel chiunque di solito conosce anche bene l’ammontare dei residui. Ergo, la diffusione di quella notizia non avrebbe dovuto produrre scandalo più di tanto. Invece è accaduto l’esatto contrario, evidenziando quella sospetta scarsa propensione a comprendere per bene la materia da parte di taluni amministratori.