Vince Ernesto La Salvia ai ballottaggi. Davide ce l’ha fatta contro Golia. Un risultato nient’affatto scontato che ha terremotato il centrodestra canosino, sicuro di consolidare il suo potere. Intanto si aspetta la giunta.
Alla fine l’impossibile è accaduto. Ernesto La Salvia è sindaco per 200 voi esatti di scarto, 6495 contro 6295. Cento persone in tutto che anziché votare per un candidato hanno preferito l’altro. Tanti quanto un condominio della 167, ha commentato un elettore della parte opposta. Sarà, ma a volte anche un solo condominio può decidere le sorti di una città. Un risultato storico per il Centrosinistra e per una candidatura ritenuta da outsider. E’ capitato che la scelta di puntare su un non politico, che si è comunque sempre occupato di politica in senso lato, si è rivelata vincente, sbaragliando equilibri consolidati e previsioni di tutt’altro segno anche a sinistra, dove il baricentro della discussione gravitava, fino ad un paio di mesi fa, intorno alle primarie. Se la vittoria ha sempre tanti padri, la sconfitta, in questo caso, non è orfana, un padre certo ce l’ha ed è quel Francesco Ventola sindaco uscente, per gli amici Francè, che pur di perdere le ha provate tutte. Questa volta è finita male e a quel fluido magico che credeva di avere e che pensava potesse permettergli di trasformare le zucche in principi, non ci ha creduto la maggioranza della popolazione. Francè ha sbagliato tutto. Quando cerca di far promuovere non se stesso, ma qualcuno dei suoi, inevitabilmente fallisce. Accadde così nel 2010 per Lovino candidato consigliere regionale; è accaduto ancora adesso per il Caporale candidato sindaco, buono per tenergli caldo il posto in previsione di una futura ricandidatura. Le logiche proprietarie spesso falliscono. Si racconta che la scelta sia caduta su di lui per spegnere gli appetiti interni dei giovani leoni rampanti della destra canosina. I vari Patruno – ma si parla di velleità coltivate dalla più attraente dott.sa Lombardi – sono scontentati. Si è convenuti non per minimo comune multiplo, ma per massimo comun divisore su una figura neutra, un vecchio medico in pensione dedito ai suoi affari personali – come è giusto che sia per un pensionato – ed alla sua azienda agricola. Di voglia di apparire non sembrava ne avesse tanta, il Caporale, costretto a muoversi in compagnia di Francè come l’apprendista stregone per convegni, riunioni e perfino comizi; sempre un passo dietro di lui, da comprimario più che da protagonista. Francè pensava che la vittoria fosse cosa fatta, scontata. Sarebbe bastato candidare qualcuno, magari anche il proprio cavallo - caso mai ne avesse avuto uno - ed il resto sarebbe venuto d’ufficio. Invece l’arroganza del potere e di chi, come Francè - ma non è il solo - ha un’idea proprietaria dell’elettorato, si è infranta contro la delusione per un sindaco che molto ha promesso ma che poco ha mantenuto; un ex uno di loro che negli anni ha imparato benissimo il mestiere del politicante fino a diventarlo di maniera, perdendo la natura rivoluzionaria del Francè 1.0, il ragazzino promettente degli esordi. Certo, è finita con una vittoria di misura, ma che proprio per questo brucia di più. Che le cose si stavano mettendo male, Francè lo aveva capito già al primo turno, quando in un colpo solo fallì due obiettivi, troppi per sperare in una rimonta: la vittoria subito o, in subordine, la maggioranza assoluta della sua coalizione per scongiurare il premio di maggioranza. Da lì è iniziata la discesa, come su un piano inclinato, verso la debacle.