Quattro ben assestati sì per dire no ad una classe dirigente di destra insensibile, tracotante, spesso arrogante, che ha dimenticato il gusto del rischio e la passione per il Bene Comune.
E’ fuor di discussione che i referendum del 12 e 13 giugno sono referendum politici nel senso più alto del termine, interessando argomenti, come la pubblicità dell’acqua, l’energia nucleare e l’essere tutti uguali davanti alla legge, estremamente sensibili, in cui le decisioni degli elettori (il popolo sovrano, secondo la Carta Costituzionale) si esplicheranno in ambiti decisivi della vita pubblica e privata. A renderlo ancora più sentito, vi è l’atteggiamento tenuto dal governo italiano e dalla interminabile lista di suoi emissari, che può essere sintetizzato in una parola sola: boicottaggio. Al momento non so se il quorum (il vero avversario dei referendari) verrà raggiunto o meno, sta di fatto che attraverso quel semplice dato passa qualcosa di più di un numero: un concetto di democrazia mai così osteggiato come questa volta. Se i dati di affluenza alle urne, lunedì 13, ci diranno che il 50% più uno degli italiani sono andati a votare, significherà che la rivoluzione gentile iniziata qualche mese fa, sta continuando e che negli italiani è riemerso il sentimento e la voglia di tornare a contare, di riprendere in mano il proprio destino. Non voglio nemmeno immaginare cosa potrebbe accadere se dovesse essere lettera morta di quel numero magico. Tra le non tante discussioni di questi giorni, ciò che ha impressionato, tra gli argomenti dei difensori del no, è stato il concetto, semplice ma efficace, secondo il quale temi complessi come il nucleare o la privatizzazione dell’acqua, debbano trovare necessariamente un approdo parlamentare, non possono essere risolti, a loro dire, in un semplice monosillabo: meriterebbero discussioni più argomentate, approfondite, magari con il contributo di esperti. Argomentazioni bizzarre che affondano in uno dei peggiori mali della nostra attuale repubblica: la forte dipendenza del legislativo dall’esecutivo. Si sono mai chiesti, questi signori, in quanto tempo e con quali modalità sono state approvate quelle leggi ora sottoposte a referendum? Lasciamo stare il caso penoso di quella sul legittimo impedimento, parzialmente cassata perfino dalla Corte Costituzionale, sulla quale non si sono nemmeno costituiti ufficialmente i comitati del no, ma le altre non hanno seguito iter particolarmente complessi. Ad esempio il quesito n. 2 (quello sul nucleare). Si chiede l’abrogazione di una lettera di un comma di un articolo di un decreto legge, non un disegno di legge – badate bene - il n. 112 del 25 giugno 2008, poi convertito in legge il 6 agosto 2008 (giusto una settimana prima di Ferragosto), che ha per oggetto misure per il rilancio economico, ma che finisce (almeno nella parte che ci riguarda) per reintrodurre le centrali atomiche. Eppure, se fosse stata volontà del Parlamento discuterne in maniera più approfondita, avrebbero potuto stralciare quella parte dal testo e rimandarla ad una discussione mirata; invece una questione già chiusa nel 1987 la si fa tornare in vita quasi per magia partendo da un provvedimento che dovrebbe avere caratteristiche di urgenza e necessità.