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Il molestatore seriale

Un dirigente della Provincia molto vicino a Ventola, Giuseppe Di Biase, finisce ai domiciliari per una storia a sfondo sessuale. Sta finendo l’epoca degli impuniti e si sta chiudendo il cerchio intorno a Francè?

Venerdì 26 agosto 2011 non è stato un giorno molto fortunato per il dott. Di Biase Giuseppe (detto il Polipo e dirigente dell’Ufficio finanziario della provincia BAT), visto che gli hanno notificato un provvedimento restrittivo (leggi arresti domiciliari) a seguito di un’indagine aperta mesi fa sulla base di una denuncia pubblica dei dipendenti della Provincia BAT per molestie sessuali nei confronti di una loro collega.
L’episodio avvenne il 7 marzo (vigilia della Festa della Donna, ma nel caso sarebbe più opportuno definirla festa alla donna), quando l’accusato, secondo il racconto, in preda ad un attacco di libidine acuta, tentò di abusare ripetutamente di una neoassunta dipendente, sottoponendola ad un tour de force di circa due ore (giusto il tempo della prestazione straordinaria richiesta senza che nemmeno le venisse retribuita) tra l’ufficio della malcapitata, quello del dott. Di Biase - con mano morta supplementare durante lo spostamento in corridoio – e, di ritorno, in quello della neoassunta. I particolari raccontati sui giornali ricordano quelli di un film erotico di quarta serie, senza l’allegria e la complicità che di solito li rendono divertenti; la vicenda della dott.ssa P., invece, è drammaticamente seria e paradigmatica di quello che il tedeschi chiamerebbero lo spirito del tempo. Gli ingredienti vi sono tutti.
Iniziamo dal chi è questo misterioso quanto apparentemente insignificante dott. Di Biase. Guardandolo si potrebbe definire l’incarnazione della normalità più anonima. Si tratta di un dipendente pubblico di lungo corso, assunto al Comune di Canosa negli anni “80 e diventato potente in quanto direttore di ragioneria; si sa benissimo che figure di questo tipo sono tra quelle che possono decidere persino le sorti di un’amministrazione, inducendo ad aprire o chiudere i cordoni della borsa. Appartengono ad una casta, quella dei dirigenti pubblici che non devono rendere conto a nessuno del loro operato se non a loro stessi. Felicemente o infelicemente sposato con una professoressa, questo signore dall’aspetto neutro, poco appariscente, ha conosciuto il periodo di massimo splendore professionale con le amministrazioni di Francè, tanto da diventare un punto di riferimento ed una sorta di eminenza grigia per lo stesso Ventola, che, nel 2010, lo ha voluto con sé in Provincia insieme all’ing. Maggio.


Ma il dott. Di Biase non è solo questo. Rappresenta, in un paese di trentamila anime, perbenista e ipocrita quanto basti, l’essenza dell’uomo di ottima reputazione: rispettato, potente, timorato di Dio, impegnato anche tra associazioni e confraternite, cattolicissimo dal non marinare mai una domenica la messa, pio e devoto da non venir mai meno ad una processione, in specie quella del sabato santo, quando al fianco destro dell’arciprete che porta innalzata la reliquia del Santo Legno, contrito appare a reggere un palo del baldacchino che lo sormonta. Lo ha fatto anche quest’anno, che la Pasqua è stata alta e che già si sapeva della sua storia, di quelle mani lascive che hanno tentato di infilarsi nelle parti intime di una giovane vincitrice di concorso in prova (chissà di cosa), violando magliette e pantaloni, e che non hanno mai smesso di palpeggiarla in quelle due drammatiche ore. Tutti sicuramente sapevano: il sindaco e magari anche l’arciprete, ma hanno lasciato che tutto scorresse via come se nulla fosse accaduto. All’indomani delle denunce, il sindaco, nonché presidente della Provincia, emise un comunicato stampa non proprio nel suo stile, laconico, ma molto significativo. Disse: Il pieno rispetto della persona, in tutte le sue espressioni, principio che personalmente cerco di tradurre anche nel mio operare nella politica e nelle Istituzioni, è un riferimento imprescindibile di civiltà. Pertanto, faremo tutto quanto ci è consentito affinché tutto il personale della Provincia possa continuare a lavorare in piena serenità». Parole imbarazzate che suonano come una mezza condanna. In situazioni come queste, anche la circostanza impone che vengano rispettate alcune fondamentali regole. Se il dirigente accusato di aver molestato una impiegata, è diretta emanazione del Ventola, lo stesso avrebbe dovuto prendere le distanze dall’accaduto non senza mostrare un certo stupore, rassicurando la vittima e i dipendenti tutti con un proclama magari falso ma di sicura presa, ad esempio con una frase del tipo: apprendo stupefatto che in uno degli uffici dell’ente di cui sono il presidente, un dirigente ha addirittura molestato sessualmente una nostra dipendente; mi impegno fin da ora ad approfondire la questione e a prendere tutti i provvedimenti si riterranno necessari. Mi sembra comunque improbabile che una persona in posizione apicale e di ben riconosciuta moralità e reputazione abbia potuto mai prendersi simili licenze.
Invece nulla di tutto ciò, non prova nemmeno ad avere un qualche dubbio sull’accaduto, dando l’implicita impressione che tutto quanto è stato, è avvenuto per davvero. In quei giorni ricordo che tra una chiacchiera e l’altra si discuteva tra amici e qualcuno avanzò l’ipotesi di una sorta di complotto buffo per screditarlo ed eventualmente costringerlo alle dimissioni o ad incarichi meno rilevanti. Ipotesi alquanto difficile da sostenere, smentita nei fatti da un Di Biase che non schiodava e che ostentava tranquillità, alla maniera di un Dominique Strauss Khan che si faceva accompagnare dalla moglie tra ali di cameriere insultanti; con la differenza che nel nostro caso non vi erano cameriere, né proteste, ma solo lui, che ci teneva a far mostra di sé come marito felice, e signora, addirittura radiosa, come una coppia di sposi novelli. Purtroppo per loro non è andata così. Finzione o meno, oggi il Di Biase è agli arresti domiciliari come un comune delinquente, costretto a subire l’onta non tanto del domicilio forzato, che potrebbe anche passare per una sua scelta, quanto quella della visita quotidiana della pattuglia dei carabinieri che si ferma sotto casa, ne esce uno con sotto braccio il registro delle firme, suona al citofono, si fa aprire, fa una rapida apparizione per poi ridiscendere, e intanto gli occhi dei vicini alle finestre che guardano e scrutano e parlano e commentano fra di loro: son venuti a trovare quello lì, sì, proprio quello che è ai domiciliari.
Gran brutta storia quella del Di Biase, uomo potente e libidinoso con il vizietto della mano morta e con una concezione molto particolare del rapporto di dipendenza. In linea con lo spirito del tempo si è creduto un semidio, un intoccabile, l’abuso sessuale come un modo per esercitare il potere, tanto per far capire chi comanda. E gli elementi peggiori delle storie di sesso e potere ci sono tutti.
Come nella faccenda pubblica e privata di un altro semidio - il Berlusca da Arcore, anch’esso avvezzo a far strame di giovani donne anche se con ricompense meno misere di quelle elargite dal Polipo - manca la querela della parte lesa; compiacente, nel primo caso, e non conscia del fatto di essere stata oggetto di un mercimonio illecito che ha leso la sua dignità di donna; intimorita e spaventata nel secondo, costretta a dover parlare e confessare l’accaduto sotto la minaccia di un’imputazione per reticenza o, peggio, falsa testimonianza, perché i giudici stanno procedendo d’ufficio e la parte lesa è anche testimone.
Situazione drammatica quella di una giovane assunta e già sottoposta al battesimo del fuoco del se vuoi far carriera ti conviene stare al gioco, colpevole di essere capitata nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e di essere avvenente, forse troppo, da far increspare i più repressi e inconfessabili impulsi di un uomo maturo ma non ancora completamente in pace con i suoi sensi. La banalità del male il dott. Di Biase la personifica interamente, il monsieur travet apparentemente innocuo che poi regala un libro di contabilità perché questo ti servirà per la carriera, se ne hai voglia; ma non dimenticare che non basta, che c’è dell’altro, che sei stata assunta da poco grazie a me che sono un uomo potente e che al termine del periodo di prova posso anche farti passare un brutto quarto d’ora. Abuso e sopraffazione condito dalla giusta dose di ricatti, soprusi che si consumano in ufficio e che non hanno assolutamente nulla a che vedere con l’incidente sempre in agguato quando un uomo che ha superato la cinquantina incontra una donna molto più giovane di lui. Non vi è un invito a cena, né un fugace appuntamento in un qualche motel, nessun tentativo di simulare una storia d’amore, per quanto scontata e banale, tra adulti consenzienti, nulla di tutto ciò, semplicemente una richiesta di sottomissione nemmeno tanto dissimulata.
Sconcerta che il Di Biase non si sia nemmeno preoccupato un po’ di procurarsi un qualche alibi, una pezza d’appoggio, quasi che fosse assolutamente sicuro di uno stato speciale di impunità. Quando la storia è venuta fuori e son partite le denunce e gli articoli sui giornali, e del Di Biase si è fatto nome e cognome con dovizia di particolari e accuse circostanziate, il nostro non poteva non sapere, anche perché in indirizzo vi era il suo mentore, quel Ventola che lo aveva voluto con sé in Provincia. Ciononostante l’uomo non ha fatto una grinza, non ha emesso un comunicato stampa, non ha querelato – come sarebbe stato opportuno – alcuno di coloro i quali lo avevano infamato; né tanto meno si è prodotto nel cambiare la natura del rapporto con la sua dipendente, crearsi un alibi, tentare di dare l’impressione di una seppur minima complicità. Niente di tutto ciò. Autolesionismo? Rimozione? O convinzione di essere inattaccabile? Quello che rende la storia ancora più odiosa, è l’abuso che taluni fanno di un ufficio per sua natura pubblico, ricoperto da persone che in un qualche modo rappresentano lo Stato e come tali hanno doveri particolari e impellenti verso tutti noi. Invece assistiamo con sempre maggiore regolarità ad occupazione di poteri: una pratica che per qualcuno sta diventando il diritto del più forte, o fortunato, a reclamare un privilegio per loro giusto. Ma dietro questa storia vi è anche un qual che di politico, qualcosa che sembra iniziare a vacillare nelle ferree certezze di Francè nell’essere un uomo per definizione al di spora di ogni sospetto. Uno della sua cerchia è finito dentro, e non un pesce piccolo, ma un pezzo da novanta che – raccontano i dipendenti nel loro esposto denuncia – ha assunto un atteggiamento ostruttivo nei confronti dei procedimenti che necessitano del proprio visto, paralizzando numerosi procedimenti in corso di espletamento. E Francè non ha saputo dir altro che per il momento posso solo manifestare piena ed incondizionata fiducia nella magistratura, in attesa che la verità possa venire a galla quanto prima. Francè ovviamente è troppo furbo per non conoscere la verità su Di Biase, il problema è che è stato colto di sorpresa da una magistratura che verso di lui, e gli uomini del suo entourage, non ha mai mostrato un atteggiamento particolarmente ostile. Anzi. Il guaio serio per Francè potrebbe essere un altro, il venir meno di quella rete di protezione che finora gli ha consentito una certa spregiudicatezza e libertà di movimento, nella stessa misura in cui ora ciò sta diventando un problema, soprattutto per loro, soprattutto quando l’opinione pubblica insiste nel sollecitare atti che omessi potrebbero causare, Dio non voglia, lo screditamento di un’istituzione. Il cerchio si sta stringendo?

Sabino Saccinto

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Pubblicato il 13/12/2012 h 22:33:31
Modificato il 13/12/2012 h 22:43:22

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