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Sindrome di Stoccolma

Due casi di problemi con la giustizia che hanno colpito un consigliere comunale ed un dirigente della Provincia BAT. Uno in Svezia, l’altro ad Andria. Due personaggi legati dall’essere in qualche modo classe dirigente.

La storia del consigliere comunale canosino Gianni Colasante, finito nei guai in quel di Stoccolma per aver mollato un ceffone in pubblico al figlio dodicenne, oltre ad essere assurta agli onori della cronaca nazionale, fa drammaticamente il paio con quella di cui ci siamo occupati nel precedente post (le molestie sessuali del dott. Di Biase) con una differenza sostanziale nelle dichiarazioni del sindaco Ventola: mentre nel secondo caso si rimetteva completamente alle decisioni della magistratura, evitando di posare la mano sul fuoco, nel primo, invece, prende posizioni anche abbastanza forti, facendo riportare sui giornali: “Giovanni Colasante è una bravissima persona, un ottimo padre di famiglia, e l’accusa che gli viene rivolta ci lascia francamente sbigottiti. Si tratta di una persona che conosco da tempo e anche come sindaco lo considero un cittadino modello: confido nella giustizia e sono certo che in sede processuale ne uscirà alla grande. Ringrazio l’ambasciata italiana a Stoccolma e i validissimi diplomatici che hanno operato con prontezza per salvaguardare i diritti del nostro concittadino e garantire la corretta gestione della vicenda”. E’ noto ovviamente che Giovanni Colasante è consigliere della lista, inventata da Raffaele Fitto, “La Puglia prima di tutto”, e appoggia la maggioranza che regge le sorti del sindaco, per cui le sue dichiarazioni potrebbero essere un tantino interessate; si spera che non siano arrivate in Svezia, loro sicuramente avranno qualcosa da dire sull’ottimo padre di famiglia, visto che stanno per processarlo; così come non prenderebbero molto bene il riferimento all’ambasciata italiana intervenuta per salvaguardare i diritti del nostro concittadino: la Svezia non è uno stato nella lista nera di Amnesty International.
Eppure, due fatti così apparentemente diversi non sono privi di una qualche relazione, non legata alla sola coincidenza temporale. Ci mettono di fronte ad un dilemma culturale che riguarda la classe dirigente canosina, con due suoi esponenti finiti incriminati per motivi diversi in due luoghi diversi, ma che interrogano tutti noi su una questione non da poco: il nostro modo di rapportarci con gli esseri più deboli, bambini, sia pur capricciosi, e donne, avvenenti magari, ma deboli sotto il profilo sociale.
I buoni sentimenti non sono così scontati, c’è una tara culturale che alligna nei ceti più istruiti della popolazione, e non è detto che sia un difetto proprio del nostro territorio, probabilmente ha una valenza molto più ampia. Prendiamo il caso del dott. Di Biase. Dopo la pubblicazione del mio post, un carissimo amico ha disdetto la mailing-list, premurandosi di farmi sapere, per altre vie, di non essere assolutamente d’accordo con quanto ho riportato. Era quasi indignato, ritenendo che alcune affermazioni fossero gratuite ed esagerate. Si è dichiarato amico personale del dott. Di Biase, aggiungendo che gli addebiti mossigli non erano credibili. Premetto che il mio carissimo amico frequenta gli stessi ambienti del dott. Di Biase, ovvero la parrocchia e le associazioni della Cattedrale, quindi fa parte di quella cerchia di persone che ruotano intorno ad una entità che esercita un’influenza non trascurabile sulle coscienze e sul modo di formarsi un’opinione. E’ ovvio che se si ritiene che la persona nota, conosciuta, stimata sia per sua natura buona ed esente dal commettere atti non solo disdicevoli sul piano sociale, ma rilevanti penalmente, si tradisce quel retropensiero antico per il quale tutte le donne sono puttane e tentatrici, se non opportuniste, ciniche e sciupafamiglie. Un pregiudizio reso più evidente dall’ammissione sincera di non essersi documentato adeguatamente prima.
Il problema non è solo del mio carissimo amico, ovviamente. Già nel precedente post ho fatto riferimento a come autorità spirituali come la Chiesa cattolica, abbiano deliberatamente trascurato quanto era già stato denunciato pubblicamente sui giornali, ma anche come istituzioni civili, come la presidenza della Provincia, abbiano preferito seguire la strategia dello struzzo, evitando di avviare, ad esempio, un’inchiesta interna per chiarire realmente l’accaduto. Significativo è che quel dirigente sia rimasto sempre al suo posto, mentre della dipendente molestata è stata accolta a tempo di record la domanda di trasferimento, previo congruo periodo di malattia. Ma le stranezze non finiscono qui. Il dott. Di Biase è stato messo agli arresti domiciliari venerdì 26 agosto 2011, ma la Giunta comunale si era riunita nella serata del 23 per deliberare l’assunzione a tempo indeterminato, tramite concorso pubblico, di un dirigente del settore bilancio e finanze, l’assunzione potrà avvenire previo espletamento delle procedure di mobilità, dando corso a quelle volontarie. Sembra proprio una delibera confezionata apposta per il dott. Di Biase, qualora lo stesso presentasse domanda di trasferimento. E non che di dirigenti a tempo indeterminato non ne abbia bisogno il Comune di Canosa, visto che su sei ne ha quattro con contratto a termine. Ma tra tutti preferiscono assumere uno di ragioneria. Curioso, no? Così come anche molto curiosa è la data in cui si è deciso di bandire il nuovo concorso, guarda caso qualche giorno prima che al Di Biase venisse notificato il provvedimento restrittivo. Una strana coincidenza, come se qualcuno già sapesse o avesse sentore che stava per accadere qualcosa. Una circostanza che alimenta maggiormente il sospetto che tra le alte sfere della Provincia non siano tanto convinti dell’innocenza del loro dirigente.



Il dott. Gianni Colasante è invece un signore accusato di aver commesso un reatoanche se in maniera inconsapevole. Più che un carnefice, è la vittima di un modello culturale che privilegia i metodi educativi forti, corporali. Picchiare i figli da noi non è considerato reato, anzi, la mazzata è educativa anche in pubblico, un trasferimento di affetto, roba che i freddi nordici non capiranno mai. Certo, il fatto che poi siano stati due uomini di nazionalità incerta a chiamare la polizia ed a provocare tutto quel trambusto, rende la situazione addirittura paradossale. Potremmo accettare il cicchetto dagli svedesi, popolo risaputo più avanzato civilmente del nostro, ma da due orientali francamente no, a meno di non ammettere che popoli verso i quali nutriamo pregiudizi sul loro grado di civilità, abbiano una considerazione dell’infanzia più alta della nostra.
Sorge chiara una domanda, quanto abbiamo imparato o quanto ha imparato la nostra classe dirigente, con contorno e codazzo di assenzienti, da questi due episodi? Francamente credo poco. Solitamente in situazioni simili prevale una forzata solidarietà con chi ha subito la sciagura, perché il carcere tale viene considerato, facendo emergere l’oblio, nel nostro comune modo di intendere le cose, per i rapporti di causa effetto che legano il peccato al castigo, conseguenza di una cultura profondamente di destra che mai si era imposta prima con tale vitalità e consenso. Chi comanda ha sempre ragione, il manovratore non va disturbato e la giustizia è tale solo quando assolve i potenti e condanna i comuni delinquenti, assiomi che fanno parte ormai del nostro sentire comune, salvo, poi, mettere il naso fuori di casa e scoprire che si può finire arrestati e subire un processo (magari kafkiano) per uno scappellotto mollato ad una persona che consideriamo una sorta di proprietà privata. Chissà se il dott. Colasante, di ritorno da questa brutta avventura – sperando che gli svedesi capiscano e ne abbiano compassione - non svilupperà qualche nuova forma di sindrome di Stoccolma.



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Pubblicato il 12/12/2012 h 23:15:15
Modificato il 12/12/2012 h 23:15:15

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