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Una crisi di governo che non ha precedenti nella storia repubblicana ed un’area storica della politica diventata minoritaria. Per colpa di chi?

Forse sono riusciti a sfangarla. Dopo la minaccia di un esecutivo neutrale (cosa ci può essere di meno pericoloso?) da parte del Presidente della Repubblica, durata meno di un giorno, i peones di Forza Italia sono riusciti a convincere il Berlusca a cedere, visto che la certezza della rielezione non era affatto garantita.

Probabilmente, ma non è detto, a sfangarla è anche l’ex segretario del PD Matteo Renzi. Chissà se prevedeva che si sarebbe arrivati a questa condizione di stallo così spinto da finire sotto la tutela del Presidente. Eppure, anche se dopo l’annuncio dello strano contratto di governo tra Lega e M5S ha gongolato, lasciando intendere che già sapeva come quel film sarebbe finito (strana osservazione da parte di un signore che i finali dei film li sbaglia tutti da almeno tre anni a questa parte) ci chiediamo cosa in realtà abbia guadagnato, considerato che se la legislatura dovesse realmente durare cinque anni, il PD si ritroverebbe relegato ad un ruolo di opposizione a rischio di sterilità, altro che pop corn.
Infatti più di uno si chiede se la disastrosa gestione della crisi post voto non sia solo l’ultimo errore di un uomo che tutti avevano creduto la speranza del Centrosinistra, e invece ha dimostrato di non possedere spiccate doti di stratega, tutt’altro, al punto che il rischio di ridimensionamento ulteriore del suo partito non è mai stato così tangibile, al punto da aver creato più di una preoccupazione tra i pochi dirigenti non renziani sopravvissuti.
Ma ammesso che si andasse a votare, sarebbe davvero così scontata la sconfitta o, al contrario, rimarrebbe nei limiti della perdita fisiologica? Domanda che ne richiama un’altra ancora. Cos’è diventato il PD? Quale società rappresenta? La composizione della sua direzione e le componenti interne riproducono esattamente in proporzione il suo elettorato?

Dopo l’esito infausto e per certi versi inatteso del 4 Marzo, l’analisi del voto condotta nel Partito Democratico è apparsa lacunosa, forse per non dispiacere più di tanto all’ex segretario, dimessosi immantinentemente ma con l’opzione di avere voce in capitolo fino alla termine della crisi di governo. Non si è andati al di là dell’abbiamo governato bene, abbiamo fatto importanti riforme ma il popolo non ci ha capiti, anzi ci ha persino puniti. Di quel popolo deluso e risentito non è dato sapere alcunché, da chi sia composto, quali siano i ceti o i gruppi sociali che si sentono ancora rappresentati e quali quelli fuggiti via, evaporati, scomparsi, passati di mano. Non che di avvisaglie in passato non vi siano state.

La crisi elettorale del PD iniziò subito dopo le Europee del 2014, alle Regionali in Emilia Romagna si registrò la più bassa percentuale di partecipazione e questo in una delle regioni più attive politicamente, per proseguire con la perdita di importanti città alle Amministrative degli anni dopo: Roma e addirittura Torino, senza che il gruppo dirigente di allora (cioè Renzi) si ponesse il problema, il tutto rimosso con una scrollatina di spalle.
Le analisi post voto, da allora ad oggi, hanno quasi sempre evidenziato che mentre il PD conquistava consensi, al punto da risultare il partito più suffragato, nei quartieri più ricchi ed esclusivi, perdeva inesorabilmente nelle aree urbane più degradate, nelle periferie e nei quartieri più popolari.
Se si si esaminano i provvedimenti o le riforme attuate negli anni dei governi Renzi e Gentiloni, e si va alla ricerca di un nesso, magari teorico, sui loro effetti sull’elettorato, non è difficile trarre qualche conclusione. Il Jobs Act ha alienato al PD le simpatie dei lavoratori dipendenti del privato con la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per le nuove tipologie contrattuali: il famigerato contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Un ossimoro in realtà. E’ vero che il lavoratore firma un contratto non a tempo, e ciò dovrebbe garantirgli, almeno in teoria, una certa stabilità, ma non significa che non sia licenziabile, magari subito dopo per motivi pretestuosi. La tutela dell’art. 18 contro questo tipo di abuso è stata rimossa per i nuovi assunti, che non significa lavoratori giovani, ma anche anziani spostati da un’azienda all’altra per effetto di alchimie societarie; sostituita da un più generico indennizzo proporzionato agli anni di servizio. Una legge che segna anche le relazioni industriali a favore della parte datoriale e che finisce per contenere le pretese del mondo del lavoro, ad iniziare da quelle salariali. Il contratto a tutele crescenti ha pure in sé il trucco della decontribuzione: doppio vantaggio per chi fa uso di questo strumento; per due anni le aziende possono evitare di versare contributi lasciando che gravino sulla fiscalità generale.

La Buona Scuola, nelle intenzioni degli ideatori, doveva risolvere in prima istanza un problema di diritto sanzionato dall’UE, quello degli insegnanti precari da tempo immemore. In altri tempi sarebbe stata un’occasione d’oro per l’economia elettorale. Sono riusciti a trasformarla nel suo esatto contrario, ritrovandosi frotte di insegnanti contrariati, delusi e desiderosi di vendetta. Ma anche categorie non esclusive, ma vicine al Partito Democratico, come gli ambientalisti, o più semplicemente dotate di sensibilità ambientale, si sono ritrovate ai margini ed, in alcune situazioni, addirittura ridicolizzate. Come non dimenticare il “#ciaone” postato da un deputato renziano, tale Ernesto Carbone, poi trombato il 4 marzo, a commento del fallimento dei referendum sulle trivelle? E che dire di quella legge che riapriva i cantieri a governo Renzi appena insediato, compresi quelli più problematici dal punto di vista ambientale? E gli scandali delle banche fallite, con un ministro del Giglio magico con padre a seguito coinvolto direttamente?

I motivi per cui sarebbe stato naturale per il PD ridursi elettoralmente non sono mancati, anzi si segnala una certa sovrabbondanza. Rimane il mistero di chi sia rimasto a votarlo, l’identikit di quel 18,7% di forza elettorale. Scomparsi grosso modo gli operai, ridimensionati non poco gli insegnanti, non pervenuti i giovani precari cari a Renzi, qual è il profilo dell’elettore tipo PD? Ce ne sono di varia specie. Si va dal pensionato bene che ha votato a sinistra tutta la vita e continua a farlo quasi per inerzia, al giovane appena uscito dall’Università abbacinato dalle teorie sociali su merito e competenze, senza disdegnare qualche buon professionista moderato, nostalgico del Grande Centro. In pratica non un partito di sfigati, ma di integrati e di buone speranze. Non un partito di perdenti ma di vincenti, in linea con la narrazione della Leopolda, dove i simboli e i temi ricorrenti non sono le barbose e pensose interminabili discussioni di una certa sinistra, ma simboli smart e facili da vendere: il garage dove i fondatori del web iniziarono a disegnare il futuro del mondo, le frasi ad effetto dei guru della new economy o il trolly che simbolicamente soppianta le valigie di cartone dell’emigrazione dei disperati, con il bagaglio dei nuovi migranti, quelli che non viaggiano per cercare un posto dove sbarcare il lunario, ma per trasferire o prelevare conoscenze e tornarne arricchiti. Nel mondo renziano non c’è posto per i lavoratori poco professionalizzati, per i dipendenti delle grandi fabbriche a rischio chiusura, per l’alienazione e la sofferenza sociale. Per quelli basta il rimedio scandinavo della flexsecurity, dei sussidi e degli uffici di collocamento da riformare, della formazione permanente. Peccato che almeno questo che doveva rappresentare la foglia di fico di una legge sbilanciata come il Jobs Act, non si sia poi materializzato soprattutto per difetto di governo. Quantomeno un qualche vantaggio elettorale lo avrebbe ricavato.

Appare chiaro che stando così le cose, non ci sarebbe da stupirsi più di tanto se a nuove elezioni il PD non subisse quell’ulteriore salasso di cui qualche intellettuale di peso va cianciando. E’ molto probabile che quei numeri resisteranno non perché rappresentino la cifra finale di un elettorato di sinistra in fase di estinzione, piuttosto sono il frutto di quella modificazione genetica già avvenuta che ha sostituito il tradizionale elettore con un nuovo tipo, più cinico e spietato.

Sabino Saccinto

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Pubblicato il 11/05/2018 h 16:17:11
Modificato il 22/05/2018 h 06:27:25

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