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I perdenti – parte 1

Doppio post (parte 1 e parte 2) sui protagonisti perdenti delle Amministrative 2017 a Canosa. Prima parte dedicata ai sindaci. Seguirà quella sui partiti, o meglio sul partito.

Domenica 11 giugno si sono tenute a Canosa le Amministrative, con risultati a dir poco sorprendenti. E’ vero, non conviene mai tirare conclusioni dopo il primo turno, quando si è ancora in attesa del ballottaggio. Quantomeno non conviene avventurarsi in previsioni che di fatto sarebbero azzardate. Di converso, mi sembra abbastanza chiaro fin da ora chi ha perso.
Al contrario di quanto accaduto nel resto d’Italia, a Canosa il M5S ha vinto, visto che al ballottaggio con il centrodestra Sabino Silvestri, ci va il loro candidato sindaco: Roberto Morra. La statistica non è una scienza esatta e l’eccezione ci può stare, ma ciò che rappresenta un’anomalia per i soloni dei numeri, non lo è affatto per chi vive nei territori. Certo, se i protagonisti di un evento fanno previsioni su come andrà, è inevitabile che la profezia si auto avveri. La vittoria dei pentastellati, almeno a Canosa, per molti era un dato di fatto prima ancora che avvenisse.
Tra le trame di a chi queste elezioni sono andate di traverso, vi è senz’altro il Centrodestra, non perché Sabino non supererà il ballottaggio - lo scopriremo domenica 25 – ma per una questione più semplice: era arciconvinto, o qualcuno deve averlo reso tale, che sarebbe passato al primo turno. Si è fermato, invece, a quota 46 percento. E’ fallita anche l’operazione anatra zoppa, ovvero conquistare la maggioranza assoluta dei suffragi alle liste, per impedire ad un eventuale altro competitor di avere diritto al premio di maggioranza. Durante lo spoglio sembrava che ce la stesse facendo, poi improvvisamente la percentuale è arretrata al di sotto del 49. Pessimo presagio, da togliere il sonno la notte a chi da quelle parti comanda il vapore.
Anche cinque anni fa accadde qualcosa di simile. Allora il maledettissimo outsider si chiamava Ernesto La Salvia. Fu eletto al ballottaggio dopo che l’allora candidato del Centrodestra Sabino Caporale risultò il più suffragato al primo turno. Fatto ancora più inquietante, la sua amministrazione non durò un anno, come chiedeva il Centrodestra con gli striscioni, ma tutti e cinque. Nel calcio si dice gol fallito, gol subito e da quelle parti di calciatori in attività, o con le scarpe appese al chiodo, ve ne sono. Potete immaginare quale sia lo stato d’animo di chi si ritrova con la cabala a sfavore anche se, secondo le previsioni di esperti analisti locali, la storia non si ripeterà. Qualcuno si spinge persino a fornire un dato: tra i quattro e i cinquecento elettori potrebbero fare la differenza, quelli da convincere. Ancora una volta saranno gli indecisi a decidere.

Ma se a destra le elezioni rischiano di perderle, a sinistra o al centro sono già quasi tutti in analisi.
C’è un’immagine del 31 maggio in un qualche modo profetica. I tre tenori (Pellegrino, Princigalli, Imbrici) incontrano gli elettori in Piazza Vittorio Veneto per esporre il Programma. Una sorta di confronto all’americana – in tutti i sensi – mediato da una giornalista professionista, Claudia Vitrani. Manco a dirlo, marinano l’evento sia Silvestri che Morra, più o meno con la stessa motivazione: sappiamo di vincere.

Mimmo Pellegrino sembra essere diventato più lirico, crepuscolare, dopo la sconfitta. E pensare che è riuscito perfino nell’impresa di superare il fatidico 3%, la quota di sbarramento, grazie a due liste civiche: una si chiamava “Ingraniamo”. E’ stato poi tradito dal gioco della ripartizione dei seggi. Ma bisogna rendere atto a Pellegrino che se la sua campagna non è stata sufficientemente efficace per diventare consigliere, di sicuro ha lavorato molto per sottrarre voti a Silvestri, e per questo meriterebbe quantomeno un pubblico encomio, magari un gesto di generosità da parte di Morra qualora vincesse. Il che non credo accadrà mai. I pentastellati sono autarchici sotto questo punto di vista, non sono abituati a riconoscere alcunché ai loro avversari.

Tra quelli più affranti dalla sconfitta c’è l’avv. Enzo Princigalli, anche se la sua prestazione non è stata poi così deludente. E’ anche tra i più attivi su Facebook: Cosimo Pellegrino aggiorna molto sporadicamente la su pagina “Mimmo Pellegrino sindaco”, mentre il gruppo “Canosa che si ama” viene aggiornato anche più volte in un giorno. Tra i candidati perdenti è sembrato quello che ci ha creduto di più e forse anche il meno demagogico e il più responsabile. Mentre gli altri sembravano fulminati da chissà quale saetta e promettevano lavoro, turismo ed ogni genere di beatitudine in terra spesso ignorando l’immanenza della matematica, Princigalli è stato l’unico ad aver avuto qualche momento di lucidità e ricordare che le nozze non si fanno con i fichi secchi, rendendo il giusto ad una amministrazione, quella precedente, partita anch’essa con promesse mirabolanti, ma spesso ferma sugli scogli di un bilancio sempre più magro. Dove ha sbagliato? Forse nell’eccesso di fair play, nel non voler giocare sporco quand’anche le condizioni lo hanno richiesto, nell’aver accarezzato la bomba fine di mondo senza mai sganciarla. Ha evitato di finire così come il comandante dell’aereo nel “dott. Stranamore” di Kubrick, ma è arrivato terzo. Da un punto di vista strettamente politico, la sua candidatura si è rivelata una sorta di voto utile, utile a far perdere Silvestri, perché ha pescato nella stessa area politica che un volta sosteneva Ventola.

Il terzo tenore di questa trimurti di perdenti di successo, è il dott. Imbrici Antonio, medico. Se lo conoscesse Renzi, direbbe: “Antonio chi?” Si può dire che ha sbagliato tutto o quasi. Ad iniziare dalla scelta di candidarsi, forse non immaginava in che guaio lo stavano cacciando. La sua campagna elettorale è stata talmente fallimentare da esser sembrata diretta e ideata da Jim Messina. Ha subito per ben due volte il bacio della morte di Silvestri l’altro (Andrea), che da quel grande istrione che è, gli ha fregato letteralmente da sotto i piedi il palco, rubato la scena e relegato al ruolo del comprimario. Eppure Antonio non è cattivo o inesperto, forse è stato lontano troppo tempo dalla politica guerreggiata, incattivita di questi anni. Si è arrugginito un po’ e come un atleta rimasto troppo tempo fuori dal giro, dimenticando che il tempo inesorabilmente passa, si è rimesso in corsa con le giunture ormai scricchiolanti. Il suo entourage è apparso addirittura peggio, vintage direi: una sorta di rimpatriata di vecchi amici; un’operazione nostalgia che ha successo solo nei film americani, come quello dei vecchi astronauti spediti in missione su Marte; un tentativo di rivivere i fasti locali del vecchio PCI. A ricordo di quando Imbrici faceva il consigliere comunale, qualcuno ha postato una vecchia foto in bianco e nero – come poteva essere diversamente – sua e di altri compagni del tempo andato. Tra gli scranni del Consiglio apparivano tutti in casco per protestare o sollecitare – chissà – regole più ferree sull’utilizzo dei ciclomotori. Commenti entusiastici e ricordi avvincenti.
Ma la politica non è più quella con il pilota automatico dei tempi in cui i vecchi leoni partitocratici non avevano praticamente avversari. Il PIL da quegli anni in su è crollato, il posto fisso è un ricordo da Prima Repubblica, l’occupazione giovanile un desiderio per pochi. Non c’è più il vecchio mondo democristiano, non ci sono più garanzie per tutti, i partiti non creano occupazione e quelle poche certezze ereditate, poco alla volta ce le stanno smantellando. In questo contesto Antonio è sembrato un pesce fuor d’acqua. Urlava alla Bellezza e addirittura alla Rivoluzione, categorie scadute almeno da qualche decennio, slogan che ha fatto accapponare la pelle ai compagni che gli volevano più bene e che speravano non si sfracellasse. Ma la rivoluzione non si fa a pancia piena. E le tasche vuote del popolo moderno son più propense ad inseguire la palingenesi grillesca che il sole dell’avvenire; il linguaggio esacerbato più che l’eloquio gentile. In questo Antonio è apparso veramente un gentil signore d’altri tempi, circondato da una corte interessata che a non volerla ritenere ancora più malvagia, di sicuro gli ha giocato come minimo una solenne presa per il culo.
Li è venuta meno quella essenziale dose di cinismo che occorre quando devi difenderti dagli attacchi dei nemici, ma anche e soprattutto dalla blandizie degli amici. Quel genere di mestiere non è per lui. Un maitre a penser del nuovo PD, una sorta di candidato Rasputin, che indicava la linea del partito con i post su Facebook, ha scritto: “Il prossimo Sindaco di Canosa dovrà avere una marcia in più. Veloce e coraggioso nelle decisioni, pragmatico, dinamico e concreto, ma anche sognatore perché Canosa ha bisogno di una grande idea di città. La nostra città, bella e rivoluzionaria.” Chissà quanto, il candidato Rasputin, nel suo delirio immaginario, si riferisse ad Antonio, che quello slogan lo aveva coniato (“Bella e Rivoluzionaria”), ma che a pensarci bene deve avergli portato un bel po’ di sfiga. Finire quarto in una competizione a cinque, non è fra le due o tre cose nella vita che si possono poi raccontare ai nipotini.

Sabino Saccinto

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Pubblicato il 21/06/2017 h 14:46:36
Modificato il 21/06/2017 h 15:37:16

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